Vedo che periodicamente, due o tre volte credo anche nell’ultima decina di giorni, in vari modi, tornano le domande sulle modalità alternative di avvicinamento delle stradali se non si ha l’auto. Accettano il percorso a piedi, in moto, in bici sulla canna (nel senso buono)…? Penso che sia una di quelle situazioni di condizionamento oggettivo che, se affrontate con un po’ di creatività, possono anche schiudere esperienze erotiche non routinarie. Mi chiedevo, in particolare, perché non abbordare una delle nostre ragazze a piedi per poi andare a casa sua in autobus? Ho coltivato a lungo l’idea per esplorare le potenzialità di questa situazione da me mai sperimentata e forse non comune in generale, che mi coinvolgeva per il mio interesse verso le cornici di erotismo diffuso, non rinchiuso nell’intimità (borghese) delle camere da letto. Penso che il desiderio di trasformare questi anonimi mezzi pubblici, che ti mostrano sì le bellezze al vento, ma ti separano dalla loro concreta disponibilità, in un ambiente più caldo, mi era rimasto dai tempi del frustrante puttantour in filobus che ho raccontato sopra. E poi c’era anche la curiosità per un rovesciamento immaginario: da luogo dei contatti gelidi e impersonali, della distanza, significato sviluppato al meglio nella drammatica scena madre del dottor Zivago, la morte del protagonista, famosa e significativamente ripresa dalla cinematografia successiva,
Guarda il profilo della escort , o al massimo (ma soprattutto un tempo, credo), della palpatina o della strusciata d’uccello di rapina, a spazio autenticamente erotico, del gioco e delle prime provocazioni reciproche.
Mi sono messo al lavoro molto seriamente su una carta della rete ATM della città di Milano, dove delle ideali bandierine colorate segnalassero le professioniste con cui ho un rapporto di maggiore familiarità e da cui mi aspettavo conseguente disponibilità, e le alcove a loro disposizione. Ho metodicamente rilevato che in due casi, Cristina di piazza Emilia e Maria di piazza Aspromonte, esiste un collegamento pubblico diretto, veloce e molto comodo, fra il marciapiede e la casa, mentre di altre pur valide colleghe sono serviti o solo il marciapiede o solo la casa, quindi in modo non funzionale ai miei fini.
https://gnoccaforum.biz/escort/on-the-road-61/%28rece%29-cristina-romania-otr-viale-piceno-milano-notturna/.
https://gnoccaforum.biz/escort/on-the-road-61/maria-piazza-aspromonte-angolo-via-ricordi/.
Ho esposto a entrambe il mio programma di lasciare l’auto sul posto, andare insieme a casa in autobus, pagando loro il sovrapprezzo del tempo impegnato e approfittando del tragitto per scambi sensuali ovviamente compatibili con l’esposizione pubblica. Cristina mi ha risposto: “neanche per cinquemila euro!”. Maria mi ha detto di sì e poi quando mi sono presentato (in macchina) per realizzare i miei programmi mi ha detto che non ne aveva voglia. Allora ho capito che dovevo operare una piccola forzatura per vincere questa ritrosia ad arricchire l’offerta-base con una piccola divagazione erotica: parcheggiare la macchina lontano, presentarmi fingendo di essere a piedi per qualche contrattempo e mettere sul piatto il compenso. E a quel punto non si trattava più di decidere se soddisfare una fantasia stravagante o meno, ma di fare la prestazione e il relativo guadagno o no: prendere o lasciare.
Sono tornato da Maria, bello fresco, sportivo con sacco a tracolla, ma mi ha ridetto di no, facendo un calcolo a mio avviso poco preveggente sul tempo impegnato in attesa dei passaggi ecc., e quindi, inopinatamente bidonato e scornato, me ne sono andato via.
Sono andato alla carica con Cristina. In una serata di giugno calda ma ventilata, lascio la macchina vicino a casa sua, prendo il tram (che evito però di aspettare nella fermata quasi adiacente, prima di trovarmela davanti di ritorno con altro cliente, cosa che avrebbe subito mandato a monte tutto, ma in una fermata più centrale) e raggiungo la sua postazione. Sono intenzionalmente travestito da lavoro, con la valigetta. Lei non c’è, quindi la aspetto nei giardinetti di piazza Emilia, leggendo un romanzo libertino alla luce dei lampioni. Finalmente compare. La avvicino silenzioso da dietro e quando le sono alle spalle la saluto nell’orecchio facendola sobbalzare di spavento: è divertente perché ci casca sempre come una bambina. Le dico mesto che sono reduce da una cena professionale, sono a piedi, però qualche soldo con me ce l’ho, possiamo andare a casa sua in autobus o in tram, 100 euri se fa anche l’anale. Accetta: “Va bene, ma senza toccare” (nel senso che non avrei avuto il diritto di fare il porco strada facendo). Dico anch’io “va bene” ma ovviamente disobbedisco subito: mentre ci avviamo verso la fermata lascio scendere la mia mano sul suo culo, lei me la sposta sulle reni e me la ferma con la sua in un più casto contatto, ma intanto ride: “Dai, ci guardano dalle macchine”. Infatti il suo ancheggiamento intercetta qualche sguardo, forse anche di altro avventore cui, senza volerlo, l’ho soffiata. Alternativamente, camminando e aspettando il primo mezzo utile, a tratti ci teniamo per mano mimetizzandoci con un profilo da teneri fidanzati, nonostante la differenza d’età.
Presto arriva la 73, saliamo, io convalido la mia tessera, Cristina fa la portoghese e mi dice di non portare sfiga quando prefiguro l’incontro con i controllori. Prendiamo posto su due sedili che si fronteggiano. Lei ripete più volte: “ci guardano”, ma a sua volta volge intorno gli occhi con spavalderia. Io la esorto a non pensarci, a guardare fuori dal finestrino, ma intanto mi diverto. In vita mia, finora, non avevo mai pensato, osservando una coppia su un mezzo pubblico, che potessero essere una mercenaria e un cliente che si recavano a consumare. Non avranno quindi formulato un’ipotesi del genere nemmeno gli altri utenti ATM. Tuttavia in un autobus ancora abbastanza popolato (era un orario compreso fra le undici e mezzanotte, sulla linea che collega Linate con il centro), ricordo in particolare un giovane barbuto fra le valigie con un’aria che non pareva proprio quella di uno che tempo cinque minuti avrebbe sodomizzato un’allegra signorina, la Cristina si nota. È vero che, come d’abitudine, è vestita in modo sobrio, lei ne fa proprio un elemento del suo modo di porsi. Addirittura quando sotto casa sua incrociamo tre straniere, esemplari tipiche di “international pussy for Expo” (in pantaloncini e top che scopre l’ombelico), la mia compagna vibra dell’indignazione che le suggerisce il suo profondo senso morale: “Che t r o i e !” (letterale). Però, munita com’è di scarpe chiare aperte taccate, unghie smaltate, le due bocce sode strette dalla magliettina smanicata color albicocca e quel suo culo che esplode nel pantalone aderente a fiori, non passa inosservata. Peraltro noi ci avviciniamo, reclinando il busto l’uno verso l’altro, ci tocchiamo con le gambe e le ginocchia, io allungo le mie mani su braccia e cosce, lei sulle mie. E a dire la verità a quel punto io comincerei ad essere fisiologicamente pronto per un’impecorata coram populo, se ciò fosse possibile.
Il breve tragitto purtroppo volge già al termine, dobbiamo scendere in piazza Cinque giornate. Lei resta incollata al sedile fino all’ultimo momento, anche se io la sollecito, perché deve aver capito le mie intenzioni di strofinare sulle sue curve colui che lei ha resuscitato. Ma non scampa del tutto: riesco a farla passare davanti a me quando si aprono le porte e le assesto la plateale sculacciata volante che il suo fondoschiena fiorito attirava sin dal primo momento. Lei solleva subito la sua protesta scherzosamente risentita.
Sotto casa le indico la mia auto parcheggiata e le confesso la macchinazione volta ad ottenere quello che mi aveva negato. “Sei un pazzo”, dice, ma ride e infatti dopo corregge: “siamo due pazzi”. Invero credo di non averla mai vista così ilare, mi ha proprio detto che quella sera l’ho fatta morire. E sull’onda di questa divertita complicità ci siamo poi calati al meglio nella prestazione vera e propria che non racconterò né qui né nel suo profilo perché mi sono espresso anche di recente e sarei inutilmente ripetitivo.